di Silvana Mazzocchi da Repubblica
Discriminazione, luoghi comuni, pregiudizi. In Italia, ma non solo, i rom vengono visti come un popolo da evitare, da respingere, da ghettizzare nei “campi nomadi”, anche se loro nomadi non lo sono più da un pezzo. Siamo convinti che mendichino per ignavia, che rubino per vocazione. Tutti. E che tutti siano incapaci d’integrarsi, a causa di quella che noi riteniamo essere una subcultura contro la quale nulla possono né la scuola dell’obbligo, né la buona volontà.
A far riflettere e a smentire questa convinzione diffusa che sa di razzismo e d’ignoranza contribuisce Bambini ladri, tutta la verità sui piccoli rom, tra degrado e indifferenza, un saggio illuminante scritto da Luca Cefisi, consulente istituzionale per l’immigrazione e da sempre studioso del popolo rom, un saggio appena arrivato in libreria e che già fa discutere.
Quale è la verità sulle nuove generazioni di quelli che noi chiamiamo “zingari”? Quanto contribuisce il loro modello arcaico patriarcale e un sistema di non regole estraneo al nostro mondo, a disegnare i loro destini? E quanto invece essi dipendono dal nostro essere ciechi e sordi di fronte al fatto che tutti dovremmo essere uguali, con pari diritti e pari opportunità? Cefisi, attraverso l’analisi e numerose interviste con operatori impegnati sul campo e con responsabili delle istituzioni, ci conduce per mano nell’universo dei rom. Molte le testimonianze di ragazzi e ragazze che vivono nei campi o che li hanno lasciati per loro scelta,
sottraendosi a un futuro senza speranza. Emerge una realtà molto diversa dalle leggende metropolitane che li vogliono tutti nomadi (solo pochi di essi lo sono), tutti ladri o stupratori, o spacciatori. All’origine di una realtà innegabile di emarginazione e di illegalità ci sono le condizioni di vita, la promiscuità. In una parola la povertà. E Bambini ladri è una voce che grida contro l’indifferenza degli italiani, che i rom riassumono nella parola gagé, anche se lo stereotipo dominante continua a ignorare che decine di migliaia dei cosiddetti zingari sono anch’essi italiani. Una linea di confine fatta di ignoranza e diffidenza reciproche, dura a morire, ma il cui abbattimento è l’unica strada per rendere davvero possibile l’integrazione.
Un libro per svelare la verità sui campi nomadi?
“Non è che c’è molto da svelare sui cosiddetti campi nomadi, basta avere occhi per vedere, senza occhiali ideologici. Questi campi sono una vergogna italiana, un limbo dove centinaia di giovani crescono da predestinati all’emarginazione. C’è chi sostiene che questo sia per “colpa” di chi vi abita: è l’idea che i poveri siano poveri per colpa loro. E’ chiaro, invece, che è l’idea del campo-ghetto, del campo-discarica dove confinare persone di cui nessuno vuole occuparsi, ad aver prodotto questo disastro sociale. Lo stesso nome di “campo nomadi” è un’assurdità: coloro che vi abitano non sono affatto dei nomadi. Questo del nomadismo è soltanto un pretesto per mantenere tutto in una sorta di “provvisorietà cronica”. Occorre certamente abolire i “campi nomadi”, non si possono certo abolire per decreto le persone: senza integrazione, casa, lavoro, questa disagio cronico proseguirà. Non ci sono i soldi per le politiche sociali ? Ma i “campi nomadi” sono ora costosi come e forse più di un intervento sociale: hanno un costo finanziario, ed è inquietante perché è un costo di puro mantenimento dell’esistente; ed hanno un costo sociale, perché è nell’isolamento dei campi che nasce, inevitabilmente, la cultura dell’illegalità. Per partecipare al patto sociale, i rom devono ben ricevere qualcosa in cambio: almeno un’opportunità per diventare cittadini come gli altri; se ricevono solo segregazione ed emarginazione, è un po’ ipocrita scandalizzarsi se poi alcuni non si comportano da cittadini modello”.
Pregiudizi, luoghi comuni, chi sono davvero i bambini ladri?
“Nella memoria storica italiana, i bambini ladri ci sono eccome: basta leggere quello che scriveva Pasolini sulle borgate romane degli anni ’50. Eppure, nessuno in quegli anni predicava che i borgatari romani fossero criminali per natura, se mai ci si poneva il problema di toglierli dalle baracche per risolvere una situazione di disagio collettivo. A quanto pare, oggi viviamo tempi più feroci: i rom devono rimanere nelle baracche, sennò i benpensanti rimangono senza il loro capro espiatorio preferito. Abbiamo il paradosso dei “razzisti illuminati”, che si scagliano contro i rom perché sono così arretrati, analfabeti, arcaici, però non muovono un dito per contribuire alla loro emancipazione. E’ vero, tra i rom sono diffusi comportamenti che noi rifiutiamo, dai matrimoni imposti dalle famiglie al lavoro minorile, all’impiego di bambini per mendicare, ma nelle comunità rom, oggi, i valori tradizionali sono in crisi da un pezzo, di fronte ai modelli della società italiana che sono ben più attraenti. E qui vediamo che il passaggio alla modernità dei rom sta avvenendo attraverso l’imitazione di modelli di comportamento deteriori, che giungono loro dall’esterno. Si fa un gran parlare dei rom che rapiscono i bambini, che è una vera e propria leggenda metropolitana, e nessuno parla dei pedofili italiani che si inseriscono nel disagio familiare, della criminalità organizzata italiana che recluta nei campi i propri manovali per lo spaccio”.
Lei ha diretto progetti di accoglienza e ha promosso un importante appello pubblico contro il razzismo nei confronti dei rom. Esiste un percorso per un’integrazione giusta e possibile?
“Innanzitutto dobbiamo sempre ricordare che la maggioranza dei rom e dei sinti che vivono in Italia sono cittadini italiani. Questo rende in qualche modo ancora più grave il pregiudizio nei loro confronti: non stiamo parlando di alieni, ma di una comunità che è parte integrante da sempre della nostra storia nazionale. E poi, che la maggioranza dei rom, italiani o immigrati, pur scontando una grave situazione di pregiudizio ed emarginazione, vive del proprio lavoro, in dignità e legalità. Qui abbiamo una grande responsabilità dei mezzi d’informazione: si leggono sulla stampa italiana dei giudizi demenziali, che se fossero riferiti a qualsiasi altra minoranza sarebbero considerati inaccettabili; quello che sugli ebrei e sui neri non si può, per fortuna, scrivere, sugli zingari, invece, chissà perché, diventa tollerabile. C’è quindi un grande problema culturale: riconoscere i rom e sinti italiani come nostri compatrioti, perché è questo che sono, è il primo passo. Per quanto riguarda i rom immigrati, che sono i più poveri ed i più fragili, è molto facile parlare di espulsioni e di rimpatri forzati: ma esistono nel nostro Paese ormai i figli e i nipoti dei rom che sono fuggiti dalla guerra civile jugoslava negli anni Novanta. Non sono più cittadini di nessuna delle repubbliche jugoslave, e vivono nei campi senza prospettiva di futuro. Vogliamo fare qualcosa per far diventare questi giovani cittadini normali, o vogliamo continuare a sprecare le vite di questi giovanissimi, che crescono e invecchiano senza neppure avere avuto una possibilità?”.
Luca Cefisi, Bambini ladri, Newton Compton editori, pag 220, euro 12,90.
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