giovedì 3 febbraio 2011

La caccia ai Rom continua, tra intolleranza e pregiudizi

Università di Reggio Calabria 

Facoltà di Scienze Politiche  ScienzePolitiche.COMUNIC@L
(di Enza Papa)


Il Parlamento europeo lo scorso 9 settembre ha adottato una risoluzione per chiedere alla Francia e agli altri Stati dell’Unione europea di "sospendere immediatamente" le espulsioni dei rom, che hanno suscitato aspre polemiche nelle ultime settimane. Ma Sarkozy è determinato a proseguire la
sua campagna antirom.
Entro la fine di settembre, infatti, saranno 700 i rom espulsi dalla Francia e rimpatriati nei loro Paesi di origine. 

Obiettivo del Presidente Sarkozy è di smantellare 600 campi nomadi, abitati da rom bulgari e rumeni. Le principali agenzie umanitarie avevano aspramente criticato queste vere e proprie espulsioni collettive, vietate dalla legge, ma il piano voluto dal Presidente Sarkozy, nonostante la Risoluzione del Parlamento europeo, andrà avanti: caccia ai rom, accampamento per accampamento, a colpi di 100 rimpatri al giorno. Il piano consiste nel dispiegamento massiccio di
forze dell’ordine all’interno degli accampamenti dei nomadi e l’impiego di ruspe pronte a radere al suolo le baracche, con donne e bambini costretti a fare fagotto e ad allontanarsi dal territorio francese. Una vera e propria operazione di pulizia etnica, condannata da ultimo anche dal Parlamento europeo.


“Non si tratta di espulsioni, sono normali voli di linea e le persone hanno scelto liberamente di tornare nel proprio Paese”, è quanto hanno dichiarato le autorità francesi, nel tentativo di sviare l’impressione di una vera e propria deportazione. Ma è difficile credere che si tratti di programmi di rimpatri volontari.
Quella dei rimpatri dei rom non è una novità di questa estate; già nel corso del 2009 furono allontanati dal territorio francese circa 10.000 rom rumeni, con in tasca un biglietto aereo di solo andata e una “buonauscita” di 300 euro per adulto. Pochi sanno però che la grande maggioranza di queste persone nel frattempo ha fatto rientro nuovamente in Francia. Lo sanno benissimo invece le
autorità francesi, tanto che, per evitare che le stesse persone allontanate possano beneficiare più volte del contributo di 300 euro a testa, la squadra di Sarkozy ha messo a punto uno speciale schedario biometrico: Oscar, questo l’acronimo del sistema, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal mese di settembre 2010. In pratica questo schedario prevede il rilevamento di impronte digitali
anche per i minori, misura che tra l’altro violerebbe i più elementari diritti umani, in primis quelli sulla tutela dell’infanzia, per far si che chi ha già beneficiato del contributo economico non ne possa usufruire ancora. Intanto in due anni sono stati spesi fondi pubblici per 18 milioni di euro per coprire i costi di queste inutili e deprecabili deportazioni che non risolvono il problema.
Sono i costi della politica della sicurezza: quella che dovrebbe far recuperare consensi elettorali ad una classe dirigente fortemente in crisi.
Lo stesso governo è ben consapevole del fatto che si tratta di un’operazione con esiti amministrativi fasulli, dal momento che non è previsto né ammesso dalla legge, il divieto di reingresso per i cittadini comunitari. In pratica tutte le persone allontanate potranno fare rientro liberamente in Francia o in qualsiasi altro Paese dell’Unione Europea, dal momento che si tratta di cittadini
europei, liberi di muoversi sul territorio comunitario, come previsto dalla normativa vigente.


Gran parte delle controversie politiche e giuridiche sulle espulsioni di cittadini comunitari, come rumeni o Rom rumeni, bulgari o ungheresi, ruotano intorno all’interpretazione di una norma comunitaria; si tratta della direttiva 2004/38, che riguarda il diritto dei cittadini dell’Unione Europea di circolare e soggiornare liberamente all’interno degli Stati membri.


La direttiva prevede che qualsiasi cittadino dell’UE ha il diritto di recarsi in uno Stato membro munito di un documento di identità valido, senza che gli venga imposto alcun visto di ingresso o di uscita. Per i soggiorni inferiori ai 3 mesi la sola formalità imposta al cittadino comunitario è il possesso del documento di identità o passaporto valido. Il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi è invece soggetto ad alcune condizioni: esercitare un’attività lavorativa o disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato ospite.
La direttiva prevede anche la soppressione del permesso di soggiorno per i comunitari, in pratica vuol dire che un cittadino comunitario può risiedere in qualsiasi punto dell’Unione europea senza aver bisogno di un’autorizzazione a soggiornarvi da parte dello Stato anche dopo che sono trascorsi i tre mesi dal primo ingresso.


Restrizioni al diritto di ingresso e di soggiorno sono possibili, secondo la direttiva, solo per ragioni di ordine pubblico; in nessun caso, invece, la decisione può essere dettata da ragioni economiche.
La direttiva, inoltre, prevede che tutti i provvedimenti relativi alla limitazione della libertà di circolazione e di soggiorno devono rispettare il “principio di proporzionalità” e basarsi esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato. Misure che colpiscono intere comunità su base etnica sono espressamente vietate dalla legge.
Neanche in presenza di condanne penali, si può automaticamente giustificare un tale provvedimento.
Inoltre, il comportamento personale deve rappresentare una “minaccia effettiva e sufficientemente grave”, che pregiudica un interesse fondamentale dello Stato ospitante.


Alla luce di tutto ciò il Parlamento Europeo ha adottato la recente Risoluzione sui Rom che censura le politiche francesi di espulsione dei Rom. L'Europarlamento invita quindi la Francia a «sospendere immediatamente le espulsioni dei rom». Gli eurodeputati, che criticano «ritardo e limitatezza» dell'azione della Commissione di Bruxelles nel reagire, ricordano nella risoluzione che le espulsioni di massa e la raccolta delle impronte digitali sono illegali, auspicando che i responsabili politici evitino «la retorica provocatoria e discriminatoria». La risposta francese è arrivata poco dopo, per voce del ministro dell'immigrazione, Eric Besson: «Non è neppure in discussione che la Francia sospenda le espulsioni dei Rom».


La risoluzione menziona inoltre il fatto che «il ministro degli Interni italiano ha annunciato la sua intenzione di propugnare l'adozione di norme dell'UE più rigorose sull'immigrazione e la libertà di circolazione».
Quella dell’allontanamento dei rom, infatti, non è una prerogativa francese: l’Italia usa da anni la tecnica dei rimpatri volontari e sulla questione del trattamento dei migranti e dei rom in particolare, più volte è stata ammonita a livello europeo.


Il ministro Maroni, nel commentare il caso francese, ha subito alzato il tiro auspicando che ci sia la possibilità di espellere i cittadini comunitari come i clandestini, con tanto di divieto di reingresso nell’area dell’Unione Europea per 10 anni, come previsto per i cittadini extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno. Anche nel nostro Paese le operazioni di sgombero e le misure di allontanamento volontario e forzato avvengono con cadenza regolare, al nord come al sud Italia.


Le operazioni violente di smantellamento di accampamenti nomadi sono andate avanti in assenza di soluzioni abitative alternative e si sono risolte con il ritorno dei rom nei luoghi dai quali erano stati espulsi oppure si sono clandestinizzati nel territorio, di fatto sancendo la rottura dei legami sociali e delle occasioni di mediazione e di inclusione sociale faticosamente costruite negli anni.
Senza andare troppo lontano basti pensare al caso della comunità rom di Cosenza che da anni vive sul greto del fiume Crati in un accampamento abitato da circa 400 persone, sulla quale pende, come una spada di Damocle, un’ordinanza di sgombero che potrebbe avere luogo da un momento all’altro. A nulla sono finora valsi i tentativi di mediazione portati avanti dalla comunità rom insieme alle numerose realtà appartenenti al mondo dell’associazionismo laico e cattolico, che da tempo chiedono alle autorità locali un tavolo di confronto per la messa a punto di soluzioni alternative adeguate che siano rispettose dei diritti dei rom.
A queste richieste, il Comune di Cosenza è rimasto sordo ed incapace di costruire un dialogo con le realtà coinvolte, prestando il fianco alla Procura e ai vari Prefetti che hanno pensato di risolvere il problema emettendo, a più riprese, dei decreti di espulsione, giustificati alla luce delle tragiche condizioni igienico-sanitarie del campo di Vaglio Lise. Questi provvedimenti hanno la sola funzione di far ricadere sui Rom la colpa della loro migrazione, dei campi e di quanto nel futuro accadrà e servono ad occultare gli obblighi di protezione e rispetto dei diritti che ogni amministratore di un territorio ha nei confronti di chi vi abita, a prescindere dalla sua nazionalità.


I primi provvedimenti di allontanamento, circa 100, erano stati emessi in seguito all’operazione di polizia disposta dalla Procura di Cosenza il primo ottobre del 2009, quando circa 400 addetti delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, guardia di finanza) fecero irruzione nell’accampamento sorto sul greto del fiume Crati. Gli abitanti del campo sono rimasti per ore in balia di questi controlli, culminati per molti di loro, neonati inclusi, in interminabili attese all’interno della Questura di Cosenza. L’operazione si è conclusa con la notifica di circa 100 provvedimenti di espulsione, in base ai quali gli interessati non avrebbero potuto fare rientro in Italia per 5 anni a pena di una reclusione fino a tre anni, in quanto ritenuti un pericolo sociale. Alla base di questi provvedimenti erano state poste le seguenti motivazioni: il cittadino rumeno non è in grado di dimostrare la data di effettivo ingresso in Italia; il cittadino rumeno non è in grado di dimostrare mezzi leciti di sostentamento; il cittadino rumeno vive nel territorio italiano senza fissa dimora; pertanto avrebbe rappresentato, a giudizio del Prefetto di Cosenza, una potenziale minaccia concreta effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona, ovvero all’incolumità pubblica, rendendo incompatibile la civile convivenza.


Per fortuna i giudici, chiamati ad esaminare i ricorsi depositati, hanno ritenuto che in base alle motivazioni sopra esposte, “non si ravvisano presupposti tali da giustificare l’emissione dei decreti di allontanamento”, ritenendo, addirittura, gli stessi provvedimenti adottati dal Prefetto “viziati da violazione di legge” e così quei decreti sono stati annullati. Ma nonostante l’esito del Tribunale di Cosenza, nel mese di marzo del 2010, altri decreti di allontanamento sono stati emessi, chiaramente anche questi ultimi sono stati accolti dallo stesso Tribunale.
L’obiettivo di queste operazioni di “pulizia etnica” è chiaro, servono a rafforzare l’idea, dilagante nel paese, che gli stranieri vadano cacciati e repressi, segregati ed esclusi da ogni forma di partecipazione seria e pianificata. 

A pensarci bene le operazioni di criminalizzazione nei confronti della comunità rom di Cosenza sono ben più gravi di quelle portate avanti dal Presidente francese Sarkozy e dovrebbero far riflettere le autorità competenti sulla necessità di individuare interventi volti a garantire l’inclusione sociale di questa comunità da anni insediata nella città bruzia.
Purtroppo, in un momento di grave recessione economica, caratterizzato da una grande insicurezza sociale, agitare lo spauracchio del pericolo rom, con tutti i costi annessi, paga sempre in termini propagandistici. 

Gli allontanamenti forzati e volontari costano molto riducendo le risorse per l’inclusione sociale dei rom. È questo il vero punto nevralgico della questione: i rom sono parte integrante della civiltà europea da migliaia di anni; oggi, con una popolazione stimata intorno ai 10/12 milioni di persone, i Rom costituiscono la principale minoranza etnica in Europa e sono presenti in tutti e 27 gli Stati Membri dell’UE. 

La maggior parte di essi sono cittadini comunitari.
Ciononostante la loro situazione è caratterizzata da una discriminazione costante e dall’esclusione sociale. Oltre ad essere a rischio di povertà, sono sempre più spesso oggetto di stereotipi e pregiudizi.
La realtà che si cela dietro il presunto problema rom è di ben altra natura e riguarda soprattutto la capacità di mettere in campo politiche concrete volte a garantire dignità e diritti ad una comunità da secoli perseguitata.

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